di Emanuele Martinelli – Energia Media
Il tema dell’innovazione ha un forte impatto sulla dimensione finanziaria europea, in particolar modo per quanto riguarda i fondi. Proprio in relazione a questi ultimi si può parlare di una visione complessiva o di una maggiore attenzione verso specifici campi?
Va innanzi tutto sottolineato che per quanto riguarda i finanziamenti stiamo vivendo l’ultimo anno della programmazione europea 14-20; un momento di transizione che ci porterà alla chiusura del programma Horizon 2020. Non solo, ci stiamo avvicinando anche al termine della programmazione relativa ai fondi strutturali di coesione che, pur sempre con valenza regionale, mantengono un contenuto afferente ai budget dedicati a innovazione e ricerca. Questo è l’anno che ci porterà al nuovo programma Horizon Europe e sul tema specifico è stato fatto un lungo lavoro nell’ambito del SET Plan, il frame dell’innovazione energetica che sovrintende su tutti i fondi; sia Horizon che i fondi strutturali allocano infatti le risorse su temi di ricerca e innovazione definiti dal SET Plan stesso, in cui gli Stati membri trovano rappresentanza attraverso contributi provenienti dal mondo della ricerca, degli enti pubblici, delle università ma pure delle imprese.
Il Set Plan aveva riconosciuto come prioritario l’ambito delle Smart City & Communities definendola key action al pari di quelle legate all’efficienza energetica, alle rinnovabili e alle Smart Grid; il risultato che ne è scaturito ha portato all’individuazione dei Positive Energy District (PED) di cui abbiamo parlato qualche mese fa all’interno degli incontri dedicati al progetto Smart Land Italia.
Ci si è però accorti che come era stato impostato il programma Horizon nella fase iniziale – cioè di finanziare grandi progetti a livello urbano andando a intervenire su intere città con iniziative molto complesse e strutturate – risultava poco incisivo, dato il rapporto tra dimensioni così elevate e risorse limitate.
Proprio a seguito di questa esperienza è emersa l’idea di concentrare gli sforzi sui distretti, sui quartieri, sulle Smart Land, sulle zone che possiamo definire sub-urbane. Insomma, ambiti più contenuti e caratterizzati, sia in termini di consumi energetici che di mobilità, su cui andare a investire e sperimentare con politiche di investimenti anche in tecnologie a elevata connotazione digitale.
Il lavoro è ancora in corso, il Set Plan non ha scadenze, è un frame che dura nel tempo e si rinnova continuamente, sicuramente un risultato apprezzabile ma ora ci troviamo, come detto, in un momento di transizione verso il programma Horizon Europe.
Che presenta una novità sostanziale. A differenza del programma precedente, non sarà più completamente focalizzato sulla costituzione di consorzi, con bandi ai quali si presentano aggregazioni costituite da imprese, enti, utility, università; ma sarà basato su Partnership, centrali nel nuovo programma quadro e divise in tre tipologie: istituzionali, co-programmed e co-founded. Alla base della prima vi saranno temi alti, forti, di tipo politico e strategico; nelle seconde sono previsti partenariati pubblico-privato tra la Commissione e partner pubblico e/o privati, nelle terze gli Stati membri stabiliranno in base alle proprie possibilità un budget di risorse e un programma di attività che gestiranno in maniera autonoma.
Seppure tutto sia ancora in via di definizione va comunque sottolineato che la novità di questo meccanismo, basato sulle Partnership, risiede nel fatto che ogni Paese stanzierà un budget con il quale si gestiranno in autonomia bandi, workshop, sviluppo dei progetti e quant’altro. Vi sarà dunque una gestione congiunta tra più soggetti perché i fondi saranno conferiti dagli Stai membri ma anche le regioni potranno contribuire con i fondi di coesione.
Diciamo che in linea di massima questo è lo schema che si prefigura per i prossimi sette anni.
In termini di approccio ai bandi le imprese dovranno rivedere in modo radicale le modalità o si tratterà solo di un’evoluzione delle procedure attuali?
Come detto non si tratta ancora di scelte definitive ma probabilmente per le imprese non vi saranno grandi cambiamenti, saranno infatti chiamate a partecipare a bandi con l’unica differenza che, anziché essere questi ultimi gestiti direttamente dalla Commissione Europea – che stanzia un budget, definisce nel workprogram le call, i contenuti, le specifiche e chiama i soggetti a partecipare – le Partnership saranno dei contenitori con risorse economiche gestite direttamente dagli Stati membri. Ogni Partnership sarà guidata da un board in cui saranno presenti i Ministeri e le regioni degli Stati che vi hanno aderito, con un più stretto collegamento con gli interessi e le priorità degli Stati membri stessi e delle regioni; un fatto non da poco quando si parla di città e territori.
Un differente meccanismo operativo che però, come detto, non dovrebbe comportare per le imprese significativi cambiamenti; eliminati una serie di passaggi, committenti diventeranno proprio gli Stati membri con interventi quindi più immediati e mirati, potendo le Nazioni confrontarsi tra loro e decidere su cosa indirizzare gli investimenti.
Secondo punto importante. Il numero di partnership in discussione in questo momento è elevato, si parla addirittura di 49, non solo naturalmente nel campo dell’energia. Una in particolare potrebbe interessare molto chi si occupa di Smart City & Communities; è denominata “Driving Urban Transition to a Sustainable Future” (DUT) che si trova in una fase già molto avanzata. Questa Partnership (di tipo co-founded ) dovrà essere approvata con un meccanismo autorizzativo che durerà tutto questo anno (e siamo abbastanza certi che sarà approvata), verrà avviata con fondi degli Stati europei stimati in circa 100/130 milioni e avrà tre priorità: la transizione energetica, l’economia circolare e la mobilità. La prospettiva per i prossimi anni di intervento sui sistemi urbani sarà quindi articolata su questi tre ambiti. I Positive Energy District (PED) entreranno nella priorità relativa alla transizione energetica; sono stati presi tali e quali gli esiti del SET Plan sui PED stessi e sono stati trasposti nella Partnership all’interno del capitolo energia.
Rispetto invece a quelli che definiamo macro-temi, come gli incentivi all’innovazione nel settore idrico o più allargati ancora per i cambiamenti climatici, sono previsti interventi più mirati o vengono affrontati in modo differente?
Pur essendo ancora tutto in fase di definizione, l’aggancio strategico al SET Plan è forte ma per quanto riguarda il Green Deal, che bisogna ancora stabilire cosa rappresenterà in futuro, soprattutto a seguito della terribile crisi che stiamo vivendo. Il Green Deal contempla enormi investimenti in infrastrutture e impianti ma rimane un’impalcatura fondante, una sorta di premessa strategica; cui si affianca il Joint Programming Initiative Urban Europe, attivo dal 2013; per cui non si parte da zero, rimangono alcuni caposaldi del SET Plan con i risultati raggiunti dai bandi e dalle call passate; quello che cambia è però, come detto, l’approccio. A mio avviso l’introduzione tra le priorità dell’economia circolare è un elemento fortemente innovativo che richiederà per esempio una forte partecipazione delle multiutility.
La possibilità di accedere a questi fondi coinvolgerà dunque anche le utility italiane non solo le istituzioni centrali e regionali.
Sarà un approccio multi stakeholder, le attività non verranno fatte esclusivamente da ministeri, regioni, enti pubblici o di ricerca; il meccanismo favorirà aggregazioni, consorzi o partnership tra pubblico e privato. Proprio il privato dovrà necessariamente essere protagonista di questa transizione, l’elemento innovativo risiede nel fatto che la committenza sarà fortemente legata ai governi che partecipano in quando investitori. In questa prospettiva le utility italiane, per loro natura, dovranno intercettare i bisogni dei territori e proporre soluzioni attraverso una serie di tecnologie abilitanti che necessariamente dovranno essere integrate a sistema con un forte accento sulla digitalizzazione dell’energia.
A tal proposito è doverosa una precisazione: alcuni Paesi come l’Austria o la Svezia per esempio hanno istituito le Funding Agency; l’Italia invece non ha mai costituito un’agenzia per gli investimenti e questo cosa significa? Che nessuna istituzione centrale, sarebbe in grado di impegnarsi con una ingente somma economica in quanto il nostro Paese ha dei meccanismi e delle procedure autorizzative molto particolari che richiedono numerose verifiche interne. La Funding Agency invece di norma è autonoma, se il direttore dell’agenzia svedese decide di stanziare una cifra anche importante (nell’ordine dei milioni di euro) su una Partnership ha la piena facoltà di farlo. Si tratta di un aspetto che ci ha sempre penalizzati nei confronti degli altri Paesi e mi auguro che con l’impegno dei Ministeri, a fronte di questo nuovo meccanismo, si possa sopperire al problema.
In Italia ci sono strutture idonee a occuparsene? L’Enea potrebbe essere una di queste?
In questo momento direi di no. Ci sono fondi che transitano attraverso l’Enea, per esempio quelli legati alla Ricerca sul Sistema Energetico (RSE), ma si tratta di fondi chiusi, che vanno solo agli enti; viene stanziato un finanziamento al 100% loro producono ricerca che viene messa a disposizione di tutti. In queste Partnership ci sarà sempre invece un momento competitivo; se per esempio per una di esse l’Italia stanzia 10 milioni, quel budget entra in un contesto competitivo e non è scontato che torni a disposizione del nostro paese.
Si faranno call a cui parteciperanno diversi consorzi europei che potrebbero presentare progetti più avanzati e vedersi assegnare il finanziamento.
Ho visto in passato meccanismi analoghi ed è vero che c’è sempre un criterio nazionale quando si valutano dei progetti di consorzi diversi; ma c’è pure da considerare un balance nazionale tra Stati membri. Insomma, i regolamenti italiani in vigore non prevedono che i fondi pubblici se derivano dal bilancio dello Stato possano andare a soggetti esteri. In altri paesi Europei non è così. .
Posso comunque garantire che l’Italia è molto interessata a questa Partnership, per noi la sta monitorando la dottoressa Paola Clerici dell’Enea che ha ottenuto un mandato dal Mise e dal MUR; c’è quindi un consenso generalizzato per parteciparvi.
C’è secondo lei tra i diversi Stati una sensibilità condivisa sull’importanza che il nuovo programma Horizon Europe può costituire per le politiche industriali comunitarie e di ogni singolo paese?
Porto l’esperienza recente del MISE che in tempi recenti ha avuto approcci diversi in relazione alle sensibilità dei ministri che si sono succeduti. Questo governo nella figura della sottosegretaria Alessandra Todde, alla fine dello scorso anno ha lanciato un’iniziativa sulle Smart City e sulla Smart Mobility, in collaborazione con Agid (l’Agenzia per l’Italia digitale) convocando una serie di comuni italiani – tra cui Bari, Catania, Roma, Genova, Milano, Torino, Cagliari – e alcune Università. L’attenzione è andata soprattutto su soluzioni innovative in ambito logistica e mobilità; il MISE in questo momento sta orientando la sua attenzione al connubio Smart City/Smart Mobility.
Una visione particolare che fa riferimento a sotto gruppi tematici; purtroppo in questi anni il discorso Smart City è stato poco efficace in quanto i sindaci si sono innamorati dei loro progetti, spesso troppo onerosi per poter essere realizzati nella loro totalità (alcuni superavano abbondantemente il miliardo di euro), e per questo motivo i più sono naufragati. Proprio per questo è necessario focalizzarsi su sottoprogetti, su aree più ristrette, pur nella loro complessità, come i PED o la mobilità.
Nel piano Energia e Clima predisposta dal MISE nel 2018 non c’è una politica italiana specifica sulle Smart City, si parla di tecnologie abilitanti che ovviamente hanno un forte impatto nei contesti urbani. Il MUR ha nominato i nuovi referenti nazionali per il prossimo programma Horizon Europe; quello che nell’attuale programma Horizon 2020 era il cluster dell’energia si è ampliato e comprenderà anche mobilità e clima. I nostri rappresentanti dovranno dunque gestire tre ambiti decisamente impegnativi.
Verranno creati dei fondi ad hoc su determinati settori, come ad esempio l’innovazione agricola?
Immagino di si, i cluster sono tanti. Ad esempio nel cluster citato poco fa su clima, energia e trasporti si toccherà inevitabilmente anche il settore dell’agricoltura. Peraltro il tema agricolo in ambito Green Deal europeo è un punto fondamentale.
Il Green Deal da all’agricoltura uno spazio enorme, che non gli era mai stato riservato finora, non nascondo che questo ci ha sorpresi ma pone sicuramente l’Italia in una posizione di vantaggio.